Intervista: “La fatica che si fa a crescere, oggi più di ieri. Accompagnare cammini fragili e incerti”

Quest’intervista approfondisce i contenuti da me portati al Convegno nazionale «Minori, famiglie, servizi. Ricostruire la fiducia», promosso a Torino da Animazione Sociale nei giorni 5-6-7 dicembre 2019.

Pubblicata su Animazione sociale n 339 -7/2020 è disponibile integralmente sulla rivista acquistabile collegandosi a questo link

 

“Nella vita ho esercitato il mestiere di psicoterapeuta di giovani; ho discusso delle ragioni del loro dolore con i genitori e, così facendo, sono diventato abbastanza esperto di sentimenti, perché è ciò di cui ci si deve interessare quando si tenta di mitigare la sofferenza o di capire le motivazioni di condotte apparentemente insensate e pericolose, a volte per la sopravvivenza, quasi sempre per la salute, la fedina penale o la felicità”.

Inizia così l’ultimo libro di Gustavo Pietropolli Charmet, Il motore del mondo. Come sono cambiati i sentimenti (Solferino, Milano 2020), l’autobiografia professionale e personale di un uomo che, nella sua lunga carriera di psichiatra e di terapeuta, si è posto al fianco dei giovani in difficoltà e delle famiglie in crisi, provando ad accompagnare verso la rinascita le loro storie di dolore.

A lui abbiamo chiesto una riflessione su come oggi possiamo metterci tutti un po’ di più – come adulti – al fianco dei complicati percorsi di crescita delle nuove generazioni.

A COSA SERVE IL NOSTRO LAVORO DI CURA?

Nella sua vita lei si è occupato di bambine e bambini, ragazze e ragazzi che «stanno male». Chi lavora con l’infanzia e l’adolescenza ferita, oggi, è circondato da sospetti e delegittimazioni. Sembra in crisi il rapporto di fiducia tra i servizi rivolti a tutelare i minori a disagio e l’opinione pubblica. Come ricostruirlo? 

Ricostruire fiducia è il primo punto all’ordine del giorno. Ricostruire fiducia con i bambini e i ragazzi. E ricostruire fiducia anche rispetto a tutti coloro che ogni giorno ci provano a metter mano al dolore degli altri, per trovare soluzioni intelligenti che non ammutoliscano, che non siano semplicemente anestetiche ma che prendano la crisi e la facciano diventare una risorsa. Perché l’opinione pubblica ultimamente è stata un po’ manomessa, violentata rispetto a tutto ciò che si muove intorno alle relazioni di aiuto verso i minori.

Noi ci proviamo per l’ennesima volta, sapendo che non è facile. È come quando un adolescente perde la fiducia verso gli adulti, la crescita, il futuro: dopo diventa difficile per educatori, psicologi, assistenti sociali ricostruirla. A noi oggi tocca farci capire meglio dall’opinione pubblica. Perché non possiamo trascurare il contesto generale nel quale organizziamo rela- zioni e dispositivi di aiuto che dovrebbero sostenere bambini e ragazzi verso la crescita e la libertà. Cosa possiamo dire oggi del nostro lavoro? A cosa serve quel che facciamo?

Tante volte, quando vedo i ragazzi crescere nelle nostre comunità, nei nostri dispositivi di aiuto e cura, e poi a un certo punto andarsene, penso che sì hanno molte carenze ancora, però qualcosa rimane in loro di quello che disperatamente gli educatori e tutti gli operatori hanno cercato di trasmettere: l’importanza di utilizzare il proprio pensiero, di raccontare la pro- pria storia. Quella vera, non quella falsa.

Ecco, questo mi sembra il lascito forse più significativo che hanno quanti frequentano i nostri dispositivi: riuscire a essere più liberi di quello che sarebbero stati se non avessero avuto occasione di frequentarci, e se noi non avessimo avuto la possibilità di regalare loro valore. Un valore veramente inestimabile, che nasce dal prendere fiducia nella propria mente, nella propria creatività, nella propria capacità di pensare e amare. Forse questo è il risultato che riesco a intravedere e che meriterebbe raccontare di più.

 

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